Messina, come si passa dall’errore alla rivalsa. Mimì entrerà in carcere... in altro modo
26 anni, è finito sulla cattiva strada e dopo una condanna ha un obiettivo. «Voglio diventare educatore in un istituto penitenziario minorile»
link all'articolo di Claudia Benassai
«Mi piacerebbe diventare un educatore in un istituto penitenziario minorile e poter combattere per le pari opportunità. Quelle che ragazzi come me non hanno avuto». Siamo al Cep nella periferia di Messina, una zona tristemente nota per la sua elevata criminalità e per il riscatto che grida spesso silenziosamente il quartiere. Qui è cresciuto il ventiseienne Mimì, nome di fantasia, un giovane che sta voltando pagina.
E la sua storia, ma soprattutto i frammenti di caduta e rinascita richiamano l'attenzione sulle difficoltà e le speranze di chi lotta per sfuggire da quei destini a volte già scritti e preconfezionati: « Vivo in una città bellissima – racconta il giovane – ma con tante insidie. Il mio percorso assomiglia a quello di tanti ragazzi che come me sono caduti nelle trappole della vita di strada. Il rimorso più grande? Aver lasciato la scuola dopo la quinta elementare. Vivevo in un luogo in cui la criminalità era all'ordine del giorno e i falsi miti erano ovunque. I video dei trapper e la vita ribelle poi mi avevano conquistato e gli amici mi ripetevano che il denaro facile era la strada giusta. E io, purtroppo, dico con occhi diversi, ci credevo. Ancora oggi penso ai miei genitori che lavoravano duro per garantire un futuro migliore e a me e mia sorella, ma la loro assenza mi ha portato a cercare altrove dei modelli da seguire. Modelli che erano sbagliati».
Un giorno di 8 anni fa lo ricorda come se fosse ieri, Mimì, dopo un'operazione contro lo spaccio di droga è stato arrestato. Gli "amici" che lo avevano accecato con belle parole e circondato fino a quel momento usando la sua ingenuità si sono dileguati lasciandolo solo a affrontare le conseguenze delle sue azioni. La sua famiglia, poi, devastata dalla notizia ha subito un duro colpo: «Non riuscivo a vedere – continua il ragazzo – che la strada che avevo scelto era un fallimento. Questo ha incrinato i rapporti con i miei cari, e mi sono ritrovato solo, condannato a sette anni di carcere. Dietro le sbarre ho avuto tanto tempo per riflettere e grazie all'associazione "Overland" ho iniziato un programma formativo e socio inclusivo che mi ha aiuto a costruire la speranza. E dal 2020 al 2023, con il loro supporto, ho potuto rimettere insieme i pezzi della mia vita. Gli incontri e le attività mi hanno permesso di ricongiungermi con la mia famiglia. Oggi, grazie al cielo siamo di nuovo uniti. Ho ripreso a studiare e sto cercando di restituire il bene che ho ricevuto a piene mani diventando io stesso volontario. Faccio parte dell’equipe di strada, dove incontro ragazzi come me, ingannati dai falsi miti delle fiction e dei video musicali».