Messina, il tunnel di Marcella:
“Così ho sconfitto il demone del gioco”
link all'articolo di Claudia Benassai
La famiglia era in frantumi. Il marito, distrutto e umiliato, tentò di aiutarla, ma io ero ormai troppo lontana per ascoltarlo. La vergogna e il senso di colpa mi consumavano, ma la dipendenza era più forte.
La mia storia ha avuto un impatto significativo all'interno della comunità di Overland Onlus. Molti, come me, lottavano in silenzio. Abbiamo organizzato piccoli gruppi di discussione e incontri con le scuole, le famiglie e varie altri gruppi esterni per condividere le nostre esperienze e sensibilizzare sugli effetti devastanti delle varie dipendenze. La mia vicenda è diventata così un esempio per altri, aiutandoci a creare un ambiente di supporto». Il suo nemico peggiore si chiamava ludopatia. E per tanto tempo il nero ha fatto da padrone fino a quando è arrivato il momento di dire basta a quella maledetta dipendenza che ha reso la sua vita ingovernabile.
Marcella, nome di fantasia, è nata a Messina negli anni '70. La sua era una vita semplice e nello stesso tempo felice. «Crescendo – racconta – in una famiglia modesta, ho imparato presto a lavorare sodo e a godere delle piccole cose. Nel 1996 sposai Giovanni, un operaio metalmeccanico dal cuore d’oro. Insieme, come coronamento della nostra unione, abbiamo avuto due splendidi figli». Tutto procedeva tranquillamente fino a quel giorno in cui la donna comprò il suo prima gratta e vinci. Era solo un gioco, un piccolo passatempo, almeno inizialmente. Ma ben presto, purtroppo, la speranza e il desiderio di una grande vincita iniziò a insinuarsi nella sua mente come un tarlo fisso e a consumarla senza freni. «Ogni biglietto non vincente – continua – mi spingeva a comprarne un altro e quando scoprì le sale da bingo la situazione peggiorò. L'adrenalina del gioco, l'illusione di poter vincere somme considerevoli e l’ambiente circostante mi intrappolarono in un circolo vizioso». E così anche a casa l'ambiente divenne teso. Giovanni notava che sua moglie passava più tempo fuori casa, i giorni scorrevano, le bollette non pagate si accumulavano e i litigi divennero quasi all'ordine del giorno. «Cominciai – ricorda – a chiedere soldi in prestito ad amici e familiari, ma la mia dipendenza mi spinse a fare scelte ancora più drastiche e alla fine la disperazione mi portò a prostituirmi per ottenere il denaro necessario a continuare a giocare. La mia doppia vita non passò inosservata. I nostri figli, allora adolescenti, capivano che qualcosa non andava. La famiglia era in frantumi. Mio marito, distrutto e umiliato, tentò di aiutarmi, ma io ero ormai troppo lontana per ascoltarlo. La vergogna e il senso di colpa mi consumavano, ma la dipendenza era più forte».
Il buio era sceso. La casa della donna, un tempo luogo di serenità e gioia, si era trasformata in un campo di battaglia. Le liti diventarono sempre più frequenti, tanto che anche i vicini di casa cominciarono a parlare. «I nostri figli subirono le ripercussioni più gravi. Uno di loro iniziò ad avere problemi a scuola, mentre l’altro si isolava sempre di più, rifugiandosi nel “luogo” che era il più naturale: il silenzio». Sembrava un film tragico, di colpo, tutti i pezzi di un'esistenza tranquilla si erano frantumati. Ma poi una, notte, Marcella, ritrovandosi sola per strada, con i suoi mille pensieri realizzò il baratro in cui era caduta. «Mi sentivo – ricorda con amarezza – una madre fallita, una moglie indegna e soprattutto una persona persa. Fu allora che una mia amica, Giulia, che conosceva la mia situazione, mi offrì una mano. Mi parlò di un'associazione di nome Overland, e del Rifugio Santa Eustochia di Larderia. Mi spiegò che lì avrei potuto trovare aiuto, e soprattutto potuto iniziare un percorso di sostegno, affiancata dalla mia famiglia. Con il cuore pesante e una piccola scintilla di speranza, decisi di accettare. Giulia mi accompagnò e lì incontrai persone straordinarie che mi accolsero senza giudizio. Il percorso fu lungo e doloroso, ma ogni passo avanti era un passo verso la libertà. La mia famiglia, nonostante tutto, rimase al mio fianco. Con il supporto di Giovanni e dei nostri figli, iniziai a ritrovare me stessa». Gli operatori le insegnarono a riconoscere i segnali della dipendenza e a gestire le sue emozioni. Partecipò a varie attività di gruppo che l' aiutarono a ricostruire l' autostima ma soprattutto piano piano, iniziò a rivivere con gioia e a vedere la luce in fondo al tunnel.
«Oggi, grazie all’aiuto ricevuto, sono una donna, mamma e moglie libera. Ho deciso di utilizzare la mia esperienza per aiutare altre persone affette da dipendenze simili, diventando una voce di speranza per chi si trova nella mia vecchia situazione. Collaboro con “Overland” e partecipo attivamente a campagne di sensibilizzazione e prevenzione all'interno della comunità. Il prezzo della fortuna è stato alto, ma alla fine, – conclude – ho ritrovato me stessa e la mia famiglia. E per questo, sarò per sempre grata, alla mia seconda famiglia, la grande famiglia di “Overland”».