Dicono di Noi

Rassegna Stampa di Overland Onlus

Messina, dall’inferno della mafia alla redenzione

Rosy, nome di fantasia, racconta la sua vera storia: il riscatto di una donna cresciuta in una famiglia mafiosa. La svolta grazie alla collaborazione con il Rifugio di “Overland”

«La mia storia è un viaggio di resilienza e speranza, un'esplorazione delle profondità dell'animo umano e della possibilità di trasformare il male in bene. Sono grata per ogni difficoltà che ho affrontato, perché mi ha reso la donna forte e determinata che sono oggi». La televisione e i giornali più tardi avrebbero parlato di provincia "babba" ovvero immune dal fenomeno mafioso. Ma lei, Rosaria, nome di fantasia, a casa sua aveva vissuto una storia diversa e un doppio fardello. Il clima mafioso infatti non era troppo esterno, suo padre era il perno della criminalità organizzata e l'esistenza asfittica delle sbarre l'ha vissuta molto presto. Una visuale diversa rispetto ai suoi coetanei che condivano l'adolescenza di pensieri leggeri.

L'infanzia

«Sono nata alla fine degli anni '70 – racconta – in un paesino dei Nebrodi, in provincia di Messina, un luogo dove il profumo della terra si mescola con l'aria piena di tensione e la mia infanzia purtroppo è stata segnata dall'ombra della criminalità organizzata. Nonostante tutto ho avuto aspirazioni. Sognavo di diventare insegnante, di trasmettere conoscenza e ispirare i giovani a trovare la propria strada nella vita». Rosy da piccola ha conosciuto il significato dei colloqui in carcere scanditi dai vestiti migliori che si indossavano per fare visita a papà: «Sì, ho conosciuto la costante paura per la sicurezza della mia famiglia. Crescere in un ambiente così carico di pericoli in un certo senso ha forgiato il mio carattere in modo unico, rendendomi consapevole della dura realtà che circondava la mia vita, ma ha reso assai buia la mia giovinezza».

Dall'adolescenza alla redenzione

A 16 anni, periodo in cui si sogna l'amore perfetto ha conosciuto colui che avrebbe dovuto cambiare il corso della sua vita. Avrebbe appunto. «Giovanni, nome di fantasia (n.d.c. ) ha condiviso con me il peso di quel mondo oscuro. Ma nonostante le difficoltà, abbiamo deciso di affrontare insieme il futuro, ignorando le conseguenze che ci aspettavano. Mio marito, negli anni, è stato condannato a più di trent'anni di carcere per i suoi legami con la criminalità organizzata, mentre mio padre ha condiviso lo stesso destino. È stato durante quegli anni di detenzione che entrambi poi hanno deciso di intraprendere un cammino di redenzione, collaborando con la giustizia per cercare di porre fine a quel ciclo di violenza e illegalità». Le conseguenze erano inevitabili. Il cambio di passo significava vivere lontano dalla sua amata Sicilia e dalla sua famiglia.

Il coraggio di cambiare

«Le notti passate insonni – racconta Rosy –, le lacrime versate di nascosto, sono diventate la compagnia silenziosa. Anche io ho dovuto scontare un reato di poco conto, ed è stato proprio in questa struttura di Larderia, dove ho conosciuto un ambiente dal calore familiare, che ho scovato la forza di affrontare il mio passato e di parlare. È stato grazie al percorso di crescita personale intrapreso con “Overland” che ho trovato il coraggio di raccontare la mia storia, di aprirmi e di condividere le mie esperienze con gli altri. Di portare la mia testimonianza affinché altri non vivano la mia vita». Rosy oggi è madre di quattro meravigliosi figli e di tre adorabili nipoti, la sua esistenza è stata segnata da sacrifici e difficoltà ma non ha mai smesso di lottare per un futuro migliore per la sua famiglia. Suo marito continua a scontare la sua pena dietro le sbarre ma la possibilità di un riscatto dà la forza di andare avanti. «I miei figli – ricorda – portano ovviamente il marchio pesante di un cognome noto alle cronache, ma sono distanti anni luce dal mondo criminale e dalla mentalità mafiosa. Li ho sempre fatti crescere con prospettive di vita che anche io avrei voluto, ed è guardando loro che sento che c'è speranza per un domani diverso, un futuro lontano dalle maglie della criminalità e dall’oppressione che ci hanno segnato». E qualcuno studia anche all'Università.

Scelta radicale

La scelta di collaborare non è stata semplice e chi non accetta questo percorso bolla i pentiti come infami. «Per chi come noi viene da famiglie mafiose vale il valore il detto onore e rispetto. Ed è stata proprio la scelta fatta da mio marito di pentirsi ad incrinare il rapporto con la sua famiglia. La scelta di collaborare è stata vista come un tradimento ai valori della loro criminalità. Oggi però – conclude Rosy – viviamo con la consapevolezza che non ci possiamo permettere che il giudizio degli altri ci rallenti nella nostra ricerca di pace e redenzione». E la lotta è diventata una necessità, dopo aver visto l'impatto tremendo che la mafia ha sulla società e sulle generazioni future.